29 novembre: Peleande contra a sa zustissia

Posted: Novembre 27th, 2013 | Author: | Filed under: Prigioni e dintorni | 1 Comment »

“Se come è stato detto, le carceri sono lo specchio della civiltà di un paese, ben incivile è il nostro. I detenuti dovrebbero essere “rieducati”. Questo termine ricorre continuamente nell’ordinamento penitenziario; anche già solo per ottenere “i giorni”, cioè la liberazione anticipata, lo sconto della pena di 45 giorni ogni semestre, occorre “la partecipazione all’opera di rieducazione”.

Ma a quali valori deve tendere la rieducazione? Sono forse valori quelli espressi da questa società? Sono il peggio che si possa immaginare: egoismo e competitività. Occorre entrare nelle celle di un carcere per trovare umanità e solidarietà. Per questo i detenuti sono considerati pericolosi. Perché, disvelando l’ipocrisia che regna fuori dalle mura, danno cattivo esempio.

Venerdì 29 Novembre alle ore 16.30 presso il Circolo 33 Giri (Via Ramai 1a) a Sassari si terrà l’iniziativa “Peleande contra a sa zustissia”: due storie di lotta contro il carcere e la repressione. Presentazione delle storie documentarie di Giovanni Farina (“Nonostante i cacciatori di uomini”) e Francesco “Sirbone” Catgiu (“Mi bastava uno spicchio di cielo”).

Interviene Costantino Cavalleri delle Editziones de su Arkiviu Bibriteka T. Serra.

 A conclusione della presentazione e del dibattito, ci sarà un aperitivo. Vi aspettiamo!

NONOSTANTE I CACCIATORI DI UOMINI

Giovanni Farina, pastore, figlio di pastori sardi, fin dalla tenera età ha vissuto in Toscana. Fin dai primi anni ’70 la procura di Firenze e le forze dell’ordine tormentano quotidianamente tutte le famiglie di allevatori sardi, e tra queste quella di Giovanni, col pretesto della lotta ai sequestratori, a-priori individuati tra gli emigrati dalla Sardegna. I periodici tormenti al bestiame, le continue invasioni delle aziende e conseguenti distruzioni si accompagnano, nel caso di Giovanni Farina, alle indecenti proposte di “arruolamento” al servizio della polizia in qualità di provocatore, infiltrato, spia e quant’altro nell’ambiente agropastorale degli emigrati sardi in Italia. Il rifiuto categorico di Giovanni alle indecenti proposte e la persistenza delle provocazioni, fino all’arresto e la galera che gli costano anni di carcere preventivo, per poi essere assolto, lo spingono infine alla latitanza e ad effettuare, assieme ad altri toscani conosciuti in galera, i sequestri Del Tongo e Ciaschi, col riscatto dei quali si trasferisce in Sudamerica. Arrestato ed estradato in Italia, subirà la condanna per i due sequestri e quando, ormai in regime di semilibertà perché a fine pena, gli verranno con insistenza rinnovate le vecchie “indegna proposte” il cui rifiuto gli costerebbe la semilibertà, capisce che il tormento non avrà mai fine e si da nuovamente uccel di bosco. Nel periodo della nuova latitanza verrà accusato di essere tra i sequestratori e custode dell’imprenditore Giuseppe Soffiantini.
Condannato a 28 anni per il sequestro Soffiantini e ad altri 8 per i reati connessi, verrà invece assolto per la morte di Donatoni (in un dibattimento a parte) nello “storico” processo in cui emerge inequivocabilmnente che polizia (NOCS), PM (Franco Ionta) e molteplici funzionari di Stato, hanno mentito, manipolato e distrutto prove, falsificato documenti, testimonianze e reperti allo scopo di celare la verità sull’omicidio (o assassinio?) del nocs Donatoni, fatto fuori da “fuoco amico”.
Il testo mette a nudo l’operare di magistratura e forze dell’ordine, libere di agire indisturbate, grazie alle situazioni di “emergenza sociale” appositamente costruite ed istigate dai pilastri istituzionali e mediatici del regime democratico, a scapito di quei settori di popolazione e forze sociali che si scontrano frontalmente coll’ordine imposto dal capitale-Stato

 MI BASTAVA UNO SPICCHIO DI CIELO

Ai frequenti sequestri di persona che avvenivano in Sardegna, nel corso degli anni Settanta e Ottanta, lo Stato rispose con una feroce ondata repressiva, imprigionando molti sardi in carceri lontanissime dalle loro terre d’origine, al termine di processi costruiti a suon di violenze, ricatti e “collaboratori di giustizia”.
Il caso di Francesco “Sirbone” Catgiu illumina una realtà carceraria fatta di torture, di cattiverie e codardie gratuite da parte di quanti vi lavorano, di giustizialismo cieco, di pene esemplari invocate e di stolida indifferenza, l’indifferenza di chi accetta l’annientamento psicofisico delle persone indocili.
La denuncia delle angherie subite dai suoi carcerieri, la ribellione alle loro violenze nei confronti di altri detenuti, il disvelamento di cosa si nascondesse dietro a una serie di decessi spacciati per “naturali”, tutto ciò Francesco lo ha pagato pesantemente, senza mai deflettere dalla sua posizione di rigore appassionato.
Vi sono infatti individui che riescono a mantenere la schiena dritta, rifiutando ogni “percorso” di ravvedimento e ogni concessione alla logica del “ciascuno per sé”. “Sirbone” è tra questi: un uomo libero che sulla sua strada ha incontrato altri individui liberi, solidali nella lotta contro lo Stato-capitale.
Questo libro racconta e documenta la storia della sua reclusione e la solidarietà cresciuta intorno a lui.

Peleande contra a sa zustissia – scarica la locandina

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